L’industria farmaceutica alla prova della serializzazione

L’industria farmaceutica italiana prosegue la propria partita contro la contraffazione dei medicinali. Lo scorso 9 febbraio è entrata in vigore in tutti i paesi membri dell’Unione europea la direttiva anticontraffazione 2011/62/Ue (Fmd – falsifed medicines directive). Sebbene l’Italia abbia facoltà di usufruire di una deroga di sei anni (fino a febbraio 2025) per recepire la norma, di fatto il regolamento sancisce già l’adozione dei requisiti di serializzazione anche per chi produce medicinali nel nostro Paese e li esporta in quelli dell’Unione. Per questo motivo buona parte delle aziende de nazionali ha aggiornato i processi produttivi e distributivi ottemperando al regolamento fin dalla sua entrata in vigore. Tutto ciò anche alla luce del fatto che l’Italia dal 2018 è divenuto il Paese che produce più farmaci di tutti in Europa (31 miliardi di euro, superata di poco la Germania), con le esportazioni che pesano in maniera rilevante sul risultato (25 miliardi di euro). La serializzazione però sottende a regole precise, protocolli stringenti e procedure talvolta complesse, che necessi-tano di alcuni chiarimenti. Alla luce di tutto ciò, vale la pena fare il punto della situazione in Italia a cinque mesi dall’entrata in vigore della normativa.

Cosa cambia con la nuova direttiva

Con la direttiva 2011/62/Ue cambiano in sostanza le regole di protezione di autenticità per tutti quei prodotti che ricadono nel campo della Fmd, ovvero i medicinali soggetti a prescrizione. Secondo quanto previsto dal regolamento, d’ora in avanti le confezioni dovranno essere dotate delle cosiddette “safety feature”, ovvero di un identificativo univoco e di un dispositivo anti manomissione (Atd, anti-tampering device). Più nel dettaglio, l’identificativo univoco è un’informazione che contiene quattro dati (codice prodotto, numero seriale, numero del lotto, data di scadenza) ed è inserito all’interno di un barcode visibile sulla confezione. Mentre il sistema anti manomissione non è altro che un dispositivo a garanzia dell’integrità della confezione, che una volta aperta non può più essere richiusa come in origine.

“Nonostante l’Italia abbia una deroga al 2025”, spiega Adriano Pietrosanto, responsabile area tecnica scientifica, produzione industriale e qualità di Assogenerici, “si deve tenere conto che il nostro Paese è divenuto il primo produttore europeo di farmaci. E che i titolari Aic (Autorizzazione all’immissione in commercio), italiani vendono tanto negli Stati membri, per cui si devono adeguare alla normativa fin da subito. Per questo possiamo dire che le aziende italiane sono già pronte per serializzare i farmaci che producono. Stiamo parlando sia dei titolari Aic (che hanno aggiornato la propria struttura interna, per essere in grado di trasmettere i seriali); sia dei siti produttivi. Va sottolineato, peraltro, che le trasmissione dei seriali all’hub non è una procedura semplice e richiede un accreditamento all’hub stesso. L’accreditamento è composto da due fasi, la prima di natura legale (viene firmato un contratto con l’hub europeo, il cosiddetto cooperation agreement, ndr); la seconda fase è tecnica e comprende una serie di procedure che permettono al sistema informatico del produttore di parlare con il sistema informatico dell’hub europeo”.

La gestione dei dati

Proprio l’invio dell’identificativo univoco da parte del produttore all’hub europeo è uno dei passaggi più delicati di questo processo. L’identificativo (o seriale) è generato dal titolare Aic (denominato Mah – marketing authorization holders, secondo la nomenclatura europea) il quale ha il compito di inviare il codice all’hub (un cervellone informatico collettore di tutti gli identificativi univoci pervenuti dalle aziende) denominato Emvs (European medicines verification system) gestito dall’Emvo (European medicines verification organization).

L’hub europeo, una volta ricevuto il dato, lo invia a sua volta ai sistemi di archivi nazionali, i cosiddetti Nmvs (National medicines verification organizations). A questo punto, il farmaco è pronto per compiere tutta la filiera legata alla distribuzione (produttore-grossista-farmacie retail e/o ospedaliere-paziente). Da qui in poi, saranno i soggetti autorizzati a dispensare i farmaci a verificare l’autenticità della confezione, all’atto della vendita al pubblico. “Nel momento in cui il farmaco viene dispensato al paziente – spiega Pietrosanto – l’end user (il farmacista retail o ospedaliero, ndr) effettua il cosiddetto decommissioning, ovvero disattiva l’identificativo univoco tramite uno scan fatto con un dispositivo in suo possesso. In questo modo si accerta che il farmaco è stato venduto e che le informazioni relative a questa operazione sono state correttamente comunicate all’hub europeo”.

L’attuazione della Fmd ricade anche sulle Cmo (Contract manufacturing organizations). In questo caso, secondo quanto previsto dal regolamento, la responsabilità dell’invio del dato all’hub è dell’Obp (On-boarding partner), che è rappresentato dal titolare Aic. In quest’ottica, per quelle aziende che non hanno il quartier generale in Europa, il contratto di connessione all’hub europeo, dovrà essere firmato dal titolare Aic nazionale, che ne detiene la responsabilità. Tuttavia, la Cmo, in seguito a un accordo stipulato con il titolare Aic, può inviare i dati di serializzazione all’hub europeo tramite un gateway provider, che a sua volta si occuperà di caricare il dato nell’hub stesso. In ogni caso, la trasmissione diretta dei dati di serializzazione dalla Cmo all’hub non è mai consentito.

Le criticità

Come tutti i processi in via di attuazione, anche nel campo della serializzazione iniziano a manifestarsi le prime criticità. Una tra le più significative riguarda la gestione degli alert che riceve il farmacista nel momento in cui effettua il “decommissioning”. “Quando il farmacista dispensa il farmaco – spiega Pietrosanto – all’atto dello scan potrebbe ricevere una serie di messaggi di alert. Si tratta di segnalazioni che non indicano necessariamente il fatto che il farmaco sia contraffatto, ma possono essere generati in relazione a una serie di problemi tecnici a monte”. Questi possono essere suddivisi in due categorie: nella prima ricadono i casi in cui il titolare Aic comunica i dati in maniera errata all’hub, per cui nonostante il farmaco sia “originale” il sistema riporta un segnale di errore; nel secondo caso può succedere che il farmacista abbia problemi legati al software che gestisce il dispositivo per effettuare lo scan dei seriali, per cui il sistema riporta l’errore anche se in realtà non c’è. “Si tratta di errori tecnici in entrambi i casi, sottolinea Pietrosanto, frutto di esecuzioni errate delle procedure tecniche previste per la trasmissione del dato o per la disattivazione del dato. A queste criticità se ne possono poi aggiungere altre che riguardano la catena intermedia di questo processo, ma che di fatto hanno un impatto minore sul risultato finale”.

La questione finanziaria

La serializzazione prevede una serie di oneri finanziari. Si tratta di contributi utili a coprire le spese di governance dell’Ente, i costi di gestione dell’It provider e i costi che il Nmvo dovrà sostenere pe il mantenimento dell’hub europeo.
Secondo il regolamento i costi per la realizzazione e il mantenimento degli enti nazionali devono ricadere sui titolari Aic. “Il titolare Aic è colui che finanzia l’hub – spiega ancora Pietrosanto – pagando una quota all’hub europeo denominata on-boarding fee. Si tratta di una quota una tantum da pagare una volta che si accredita all’hub. Il titolare Aic, inoltre, paga gli enti nazionali, ed è tenuto a finanziare tutti gli enti nazionali di paesi degli stati membri nei quali commercializza i propri farmaci”.

Esisto modelli di pagamento differenti a livello nazionale. In questo caso la metodologia di finanziamento è a discrezione dei singoli Nmvo e si suddividono in due categorie. Il primo modello, denominato “flat fee” è una quota proporzionale al numero di titolari Aic, ma indipendente dal numero di Aic commercializzate. Nel secondo caso, denominato “adjusted flat fee”, la regola è la stessa del modello precedente ma subisce delle variazioni in base agli “sforamenti” del numero di Aic o in relazione ai volumi di vendita.

Lo stato delle aziende italiane

All’interno di questo quadro normativo in trasformazione, come si stanno comportando le aziende italiane? “Le aziende produttive hanno lavorato bene – sottolinea Pietrosanto – affinché le loro linee produttive subissero un upgrade, finalizzato alla serializzazione. Lo hanno fatto principalmente in due modi: aggiornando i vecchi impianti produttivi o sostituendo macchinari vecchi con quelli nuovi. Tutto ciò ha comportato un impegno in termini di costi non indifferente per tutto il comparto industriale. Bisogna tenere presente che l’aggiornamento di una linea soltanto preesistente costa in media intorno ai 300 mila euro. Mentre acquistarne una nuova può arrivare a costare anche fino a 2 milioni di euro. In un’azienda con 8-10 linee di produzione al proprio interno, è evidente quanto può essere significativo l’investimento da affrontare da parte di queste realtà”

La spesa da sostenere varia in relazione a una serie di fattori. In primis il tipo e il numero di macchinari coinvolti nell’aggiornamento, ma può variare anche in funzione della grandezza del mercato a cui bisogna far fronte: “se produci solo farmaci otc, gli impianti non vanno aggiornati perché basta il bollino come strumento anticontraffazione, discorso che non è più valido nel caso in cui il produttore venda farmaci anche all’estero. Consideriamo che i produttori italiani sono i maggiori esportatori, per cui l’impatto per l’Italia è stato maggiore rispetto agli altri Paesi dell’Unione”.

La deroga

L’Italia, la Grecia e il Belgio sono gli unici Paesi a godere di una deroga rispetto all’entrata in vigore della Fmd. Questo perché tutti e tre hanno già un sistema di tracciabilità interna, per cui in futuro servirà solo adattare questi sistemi alle normative europee. La Grecia ha annunciato che si uniformerà definitivamente a partire dal 2021, mentre il Belgio ha ufficialmente rinunciato alla deroga adattandosi alla normativa europea già da quest’anno. Per l’Italia invece si procederà come previsto, ovvero con la possibilità di usufruire della deroga di sei anni, per poter essere totalmente in regola entro il 2025.

Come scritto nel numero 150 di AboutPharma, l’Italia ha già messo in atto da tempo un sistema di anticontraffazione dei farmaci. Si tratta del cosiddetto bollino ottico. Fino al 2014, i bollini farmaceutici italiani consentivano la lettura ottica di due codici recanti rispettivamente informazioni circa il numero dell’autorizzazione all’immissione in commercio attribuito dall’Agenzia italiana del farmaco e un numero progressivo assegnato dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato all’atto della stampa dei bollini stessi. Dal 2014, sul bollino è stato apposto un codice a barre denominato “datamatrix”, che combina le informazioni dei due precedenti codici, semplificando l’operazione di lettura ottica.

Nel tempo però, nonostante l’implementazione di una piattaforma ad accesso riservato che avrebbe dovuto consentire una rapida ricezione e verifica in tempo reale degli ordini da parte delle aziende, si sono verificati spesso ritardi nella procedura di stampa e consegna dei bollini da parte dell’Istituto con ovvie ripercussioni sulle tempistiche di immissione in commercio dei farmaci. All’epoca dei fatti una serie di giudici amministrativi si pronunciarono sulla legittimità della produzione centralizzata ed esclusiva dei bollini farmaceutici da parte del Poligrafico. In ogni caso, l’attuale sistema di anticontraffazione ha mostrato carenze anche sotto il più rilevante profilo della sicurezza. Per questo motivo la convinzione è che il sistema italiano dei bollini farmaceutici debba essere ripensato, o meglio dire adattato alla normativa europea entrata in vigore lo scorso febbraio.

Un futuro all’insegna della blockchain

Guardando al mondo della tecnologia digitale, una soluzione nella direzione del miglioramento della tracciatura (ma anche della serializzazione) dei farmaci potrebbe arrivare dalla blockchain. Il libro mastro virtuale (conosciuto soprattutto per essere la tecnologia che sottende ai bitcoin) sembrerebbe adattarsi perfettamente alle dinamiche di sicurezza nel campo della logistica. Non a caso da circa un anno un colosso del settore, Dhl, ha stretto una partnership con Accenture, per la realizzazione di un prototipo di lavoro in grado di tracciare i prodotti farmaceutici dal loro punto di origine fino al consumatore, eliminando ogni tipo di errore o contraffazione. La blockchain permette di assegnare ai prodotti determinati identificatori univoci consentendo di seguirli lungo tutto il percorso prima di giungere al consumatore finale. Il progetto si rende necessario anche a fronte dei dati di uno studio recente di Interpol, secondo cui ogni anno nel mondo muore un milione di persone a causa dei farmaci contraffatti.

Più nel dettaglio, come spiega il portale specializzato Blockchain4innovation, Dhl e Accenture hanno creato un prototipo di serializzazione con nodi in sei aree geografiche. L’obiettivo? Tracciare i prodotti farmaceutici durante il processo di distribuzione. Tale registro tiene traccia dei movimenti dei medicinali e può essere condiviso con produttori e distributori, magazzini, farmacie e ospedali e in generale con chi è coinvolto nella filiera. Secondo una serie di simulazioni effettuate in laboratorio, si è dimostrato che la tecnologia blockchain può gestire più di sette miliardi di numeri seriali e 1.500 transazioni al secondo. Senza considerare tutto il discorso relativo al taglio dei costi, una dei punti più sensibili per quel che riguarda la produzione di medicinali.

Tuttavia, la blockchain è ancora una tecnologia in fase embrionale e qualsiasi applicazione ha bisogno di anni prima di mostrare reali benefici, discorso ancor più vero quando parliamo di prodotti legati alla salute delle persone. “Penso che le infrastrutture tecnologiche presenti nel nostro paese – conclude Adriano Pietrosanto di Assogenerici – consentano un’applicazione di questa tecnologia non superiore al 4-5%, rispetto a tutto quello che viene raccontato. In altre parole, ma è una sensazione personale, siamo di fronte a una chimera, un progetto che potrà vedere vera applicazione nel mondo farmaceutico solo tra qualche anno, anche perché fino ad oggi non si sono concreti interessanti, rispetto alle esigenze del nostro settore”.

 

Fonte: https://www.aboutpharma.com/blog/2019/07/26/lindustria-farmaceutica-alla-prova-della-serializzazione/

dal numero 170 di AboutPharma

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