L’identificazione automatica di un prodotto migliora l'efficienza della supply chain e del business, azzerando l'out-of-stock e le inefficienze di magazzino, riducendo i carichi di lavoro amministrativi. Ma quali sono le differenze tra barcode, tag Rfid, Nfc e sensori per costruire un sistema capace di garantire tracciabilità e rintracciabilità delle informazioni?
La tecnologia Rfid (acronimo di radio frequency identification) è una tecnologia con identificazione a radiofrequenza, ovvero una tecnologia in grado di memorizzare in maniera autonoma dati e informazioni su persone e oggetti reali, utilizzando gli rfid (etichette elettroniche che si inseriscono nell’oggetto, persona, etc.) e degli apparati fissi o portatili (reader, che leggono appunto i dati presenti negli rfid e poi li memorizzano in automaticamente in memoria.
Come dice la parola stessa, quindi, l’RFID serve per tenere sotto controllo. Qualsiasi cosa, persona o animale che abbia questa etichetta su di sé. Con questa tecnologia è possibile, ad esempio tenere traccia di tutte le merci che escono da un magazzino, se correttamente etichettate. Uno degli ambiti applicativi principali oggi per l’Rfid è infatti l’rfid per la gestione magazzino e la logistica. L’etichetta RFID è un dispositivo tecnologico che oggi viene sfruttato con grande frequenza e che permette di tenere sotto controllo le risorse di magazzino, consentendo quindi di effettuare una gestione di questo aspetto.
Cos’è la tecnologia RFID (Identificazione a radio frequenze)
In parole più semplici, l’etichetta RFID è uno strumento che consente di segnare, in maniera unica, ogni singolo tipo di unità: anche se si tratta del medesimo prodotto, come potrebbero essere due smartphone, ognuna delle due etichette avrà una piccola differenza nella composizione che consente di tenere sotto controllo, ad esempio, l’ammontare delle diverse risorse, offrendo quindi un risultato finale di prima qualità. Ovviamente il discorso non è soltanto relativo alla gestione del magazzino (dove comunque l’RFID trova oggi applicazione in diverse aziende), ma a qualsiasi oggetto, animale o persona. Grazie all’RFID è possibile infatti tenere monitorato e sotto controllo qualsiasi cosa (e non solo cosa!) sulla quale si voglia applicare l’etichetta con identificazione a radio frequenza.
Come funziona un lettore RFID di tag ed etichette?
La tecnologia Rfid si basa sulla propagazione di onde elettro-magnetiche nell’ambiente circostante, e in questo modo permettono di rilevare in maniera automatica e a distanza, sia in movimento che statici, un grande numero di oggetti, persone o animali. Un po’ come con la radio, con gli Rfid ci sono alte e basse frequenze. Inoltre possiamo distinguere tag rfid passivi, che operano sia a basse che alte frequenze, e poi i tag rfid attivi, che invece possono operare a distanze più lunghe, dotati di batterie a lunga durata.
Il funzionamento delle etichette Rfid è molto semplice da analizzare e per comprenderlo occorre capire quali siano le parti che compongono le diverse etichette, in maniera tale da avere una panoramica generale. Ogni etichetta è composta da un transponder, che in alcune occasioni viene definito anche col termine di tag (in inglese “etichetta”, appunto): questa è la parte identificativa dell’etichetta stessa, ovvero quella merce viene assegnata a un determinato impulso radiofonico.
Questo può avere una frequenza differente a seconda del tipo di impulso che la caratterizza e allo stesso tempo occorre sottolineare come ogni genere di etichetta, a seconda del suo scopo, abbia un impulso differente, che consente di offrire una lettura a una distanza differente.
Generalmente le merci, in particolar modo i pallet, sono caratterizzati da una frequenza media pari a 13,56 MHz, oppure elevata, con potenza compresa tra i 868 e i 915 MHz. Questo segnale viene letto da parte di un lettore, definito reader, che permette di ottenere una serie di informazioni sul tipo di merce. Il lettore è caratterizzato a sua volta da una sorta di antenna che, nel momento in cui viene attivata, genera un impulso elettromagnetico che permette alle stesse etichette di attivarsi.
La lettura non necessariamente deve avvenire mediante contato tra i diversi tag e il lettore stesso: a seconda della potenza del segnale il lettore riceverà gli impulsi che sono contenuti dall’etichetta stessa una volta che questa viene stimolata dalla stessa antenna. Quando vi è una merce in entrata o una in uscita, il lettore capterà la tipologia di merce e comunicando con l’apposito programma, procederà con l’inserimento dello stesso nella categoria di destinazione.
Ovviamente, per fare in modo che questo procedimento possa avvenire, è necessario cercare di configurare con cura e precisione il programma che deve gestire il lettore e allo stesso tempo il procedimento di lettura delle etichette, in maniera tale che sia possibile prevenire ogni genere di complicazione che potrebbe essere abbastanza complessa da dover fronteggiare e rendere la gestione del magazzino complessa.
Naturalmente le diverse etichette e il lettore sono calibrati in modo tale che eventuali interferenze radio magnetiche non vadano a incidere, in maniera negativa, sulla lettura e scambio di informazioni tra etichette e gli altri dispositivi.
Grazie a questo particolare controllo si creerà una sorta di binomio di comunicazione solido in grado di evitare che possano nascere delle situazioni negative.
Pertanto il funzionamento del lettore Rfid e delle etichette è abbastanza semplice da analizzare e consente di ottenere diversi vantaggi a livello di gestione dell’impresa stessa, garantendo quindi un risultato finale di prima qualità, prevenendo quindi errori di ogni tipologia che, sia nel breve che nel lungo termine, possono essere abbastanza complessi da risolvere.
Esempi di utilizzo dell’RFID: la gestione del magazzino
Perché oggi si utilizza questa tecnologia per la gestione del magazzino?
Semplicemente in quanto questo genere di tecnologia permette effettivamente di avere un controllo ben preciso della situazione dello stesso magazzino. La gestione avviene in maniera semplificata dato che sarà possibile riuscire a svolgere un tipo di operazione semplice, ovvero quando l’etichetta viene letta dal lettore, questo invia un’informazione tempestiva al programma al quale questo è collegato.
Ad esempio se si registrano merci in uscita sarà possibile notare come, ogni volta che un’etichetta viene letta, un’unità viene rimossa dal complessivo delle giacenze. Grazie a questa gestione sarà possibile anche sapere quando devono essere effettuati gli ordini, dato che il magazzino verrà aggiornato automaticamente nel momento in cui si decide di trascinare l’etichetta sul lettore, facendola leggere dallo stesso.
Al contempo è possibile procedere con l’operazione inversa, ovvero è possibile venire a conoscenza delle diverse entrate in magazzino, le quali verranno aggiornate grazie alle etichette che vengono sottoposte alla lettura mediante apposito strumento. Pertanto, grazie a questo particolare tipo di strumento e tecnologia sarà meno complesso gestire il magazzino stesso, il quale potrà essere effettivamente sfruttato in maniera maggiormente professionale e sicura senza che possano esserci complicazioni di ogni genere.
Come l’Rfid viene applicato alla supply chain e alla logistica
«Potrei sbagliarmi, ma sono abbastanza sicuro che la frase Internet of Things sia nata come titolo di una presentazione che ho fatto per Procter&Gamble nel 1999. Collegare il nuovo approccio RFID della supply chain di P&G con l’argomento, allora rovente, di Internet fu un ottimo modo per attirare l’attenzione dei dirigenti. Credo riassuma un’importante intuizione, spesso ancora fraintesa».
Con questa frase Kevin Ashton, direttore esecutivo del Centro di Auto-ID del MIT, racconta com’è nata l’idea della Internet of Things. Terminologia nata in un laboratorio a supporto del Product Lifecycle Management e oggi diventata un driver dell’innovazione tecnologica e delle smart city, la IoT ha ancora bisogno di essere spiegata a livello di funzionamento e di ROI (Return of Investment).
Ambiti applicativi dell’RFID con l’Internet delle cose
Il concetto fondamentale della Internet of Things non è tanto legato al potenziale di Internet quanto, piuttosto, a un modello di sviluppo grazie al quale è possibile associare praticamente a qualsiasi cosa una piccola componente tecnologica capace di trasformare questo oggetto in un dispositivo intelligente e comunicante in modalità wireless. Internet of Things è la chiave dell’automobile che ci permette di aprire o chiudere le portiere in automatico senza usare la toppa, ma è anche la chiavetta prepagata in cui in molti uffici il personale può comodamente prelevare bevande e snack da un distributore automatico.
IoT è il braccialetto elettronico che nei parchi di divertimento o in alcuni ospedali vengono usati per identificare in automatico visitatori e pazienti, autorizzando la fruizione di determinati servizi. È la carta di credito che ci consente di effettuare una transazione. Anche un semplice sensore capace di misurare uno scostamento rispetto al tasso di salubrità di un ambiente o al livello dell’acqua di un fiume è intelligenza delle cose.
IoT sono le soluzioni di localizzazione che registrano i nostri movimenti nei luoghi pubblici o i varchi antitaccheggio e le telecamere. È IoT il Telepass che consente a un mezzo di transitare velocemente e legalmente al casello o il badge che consente di accedere a una ZTL (Zona a Traffico Limitato) senza pagare la multa. È Internet of Things la tracciabilità (e rintracciabilità) della spazzatura culminata nel SISTRI, ma che in molte città italiane sta diventando un modello virtuoso per stornare dalla tassa sui rifiuti una parte dell’importo consacrato al riciclaggio.
L’innovazione della IoT e il potere della digitalizzazione smart, infatti, è quello di unire la creatività alla definizione di uno o più servizi che, per avere un senso economico e sociale, devono essere utili nel tempo.
Altre applicazioni del tag Rfid, quasi invisibile e sconosciuto
Il codice informatore più efficiente della IoT è il tag RFID (Radiofrequency IDentification): un piccolo chip costituito da una memoria e da un’antenna (dalle dimensioni e dalle forme dell’antenna, variano funzionalità e raggio di azione).
Il tag è un microchip bidimensionale (apposto a supporti diversi a seconda dell’uso) che, sfruttando l’induzione elettromagnetica, sollecitato da un reader RFID attiva un processo di comunicazione e di scambio dei dati in lettura e scrittura.
All’interno del tag la memoria elettronica può contenere un numero molto elevato di informazioni. Il valore aggiunto? Più di uno: innanzitutto che il costruttore all’interno del tag inserisce un codice seriale identificativo unico (TID – Transponder IDentification) che, non potendo essere falsificato se non danneggiando il tag che così diventa inutilizzabile, costituisce un sistema di identificazione certo.
Un altro plus è che, a differenza del barcode che deve essere letto esclusivamente in modo frontale e solo uno alla volta, i tag possono essere letti in maniera massiva, ovvero tutti contemporaneamente anche quando gli oggetti a cui sono apposti si trovano impilati, sovrapposti, chiusi in una scatola, oppure distribuiti in uno spazio come può essere un ufficio o un magazzino.
I tag (o transponder) sono l’unità fondamentale della Internet of Things perché consentono di attivare un percorso di tracciabilità e di rintracciabilità delle informazioni decisamente più completo e avanzato, in quanto associato a un processo di identificazione univoca.
La Community di GDPS è sempre a Tua disposizione!
Avvia un Forum di discussione per un aperto e proficuo confronto con altri Professionisti.
RFID e Privacy, quello che c’è da sapere
C’è stato un tempo in cui l’RFID era stato inserito nella curva di Gartner, molte aziende ci avevano creduto e avevano investito in questo tipo di soluzioni che, per la maggior parte, erano fallite.
Il problema era che la tecnologia non era matura né a livello di hardware né a livello di software, e che le competenze dei system integrator erano pressoché nulle. Un progetto RFID, infatti, non è una soluzione cosiddetta in a box, ma richiede un’analisi dei sistemi informativi ma anche test sul campo dettagliati per capire quali barriere possono ostacolare la lettura in radiofrequenza e quindi in che modo vadano risolte le criticità scegliendo i tag giusti e alcuni accorgimenti nella predisposizione dei reader.
Un altro zoccolo duro dell’RFID è il tema RFiD e Privacy: sin dall’inizio la tecnologia Rfid non è mai stata spiegata bene alle persone per cui una parte dell’opinione pubblica riteneva che il tag fosse equivalente a una microspia. Nel 2003, quando Benetton aveva deciso tra i precursori di usare i tag per ottimizzare la filiera globale, aveva subito un’alzata di scudi da parte di opinion leader e moti popolari (negli Stati Uniti lo scandalo del Watergate era ancora vivo nella mente della gente) tale per cui il brand era stato costretto ad abortire il progetto. Da allora i progetti Rfid sono andati avanti, ma quasi tutti in sordina.
Non sono gli oggetti a essere intelligenti: sono i servizi
Oggi molte cose sono cambiate, a partire dalla qualità dei progetti e delle tecnologie di riferimento. La progressiva smartificazione del mondo è letteralmente decollata con quello smartphone che accompagna le persone ogni giorno, ovunque. La questione che va chiarita una volta per tutte è che nei tag usati a supporto del Product Lifecycle Management, i dati personali non c’entrano, perché c’entrano le informazioni legate al singolo prodotto e cioè: origine di produzione, lotto, ingredienti, scadenza e via dicendo.
Diverso, invece, è il caso dei tag Rfid presenti nei badge o nelle smart card che servono alla gestione automatica degli accessi. Dovendo consentire l’ingresso ad aree messe in sicurezza oppure a servizi di pagamento, i dati che servono a identificare il possessore (e non qualcun altro) associati al chip sono personali. In questo caso, però, le informazioni sono crittografate e archiviate secondo una rigida regolamentazione che protegge la nostra privacy: ad avere accesso ai nostri dati, in quel caso, è solo un ente certificato e autorizzato, tenuto a osservare scrupolosamente tutta una serie di politiche di sicurezza.
Dalla produzione alla distribuzione, qual è il ROI dell’RFID
Informatizzare la gestione del ciclo di vita del prodotto attraverso l’identificazione automatica, dunque, significa mettere a sistema informazioni e rendere più trasparente il passaggio dei dati, evitando ridondanze ed errori ricorrenti nella gestione manuale.
L’intelligenza delle cose associata all’uso della tecnologia RFID è stata quantificata anche a livello economico, confermando il valore dell’innovazione.
I Kpi (Key performance Indicator) dell’Rfid, confermati dai progetti in produzione ormai noti e condivisi, sostanziano il ritorno dell’investimento tecnologico:
A usare l’Rfid associato alle etichette infatti è soprattutto il fashion: anche in Italia i brand che usano i tag per ridurre il time to market sono sempre di più: da Fendi, Bottega Veneta, Moncler ad Harmont & Blaine, LiuJo, Patrizia Pepe, Maliparmi fino ad arrivare ai fast fashionist Sandro Ferrone e Imperial.
Dal codice a barre al tag RFID, differenze e costi RFID
Grazie all’identificazione automatica, dunque, la gestione del ciclo di vita del prodotto dalla sua nascita alla sua consegna al cliente finale è messo a sistema, consentendo agli operatori della supply chain di ottimizzare lo scambio delle informazioni e la gestione degli ordini e delle fatture legate alle consegne.
Gli oggetti, infatti, vengono etichettati o integrati da una componente tecnologica che rende più efficace la comunicazione: dal codice a barre al tag RFID o NFC quello che cambia fondamentalmente è la quantità di informazioni gestite, la modalità di lettura e, di conseguenza, i costi delle tecnologie associate.
I codice a barre riportano il numero seriale identificativo del produttore, della nazione, del prodotto, o del collo o del pallet e che va letto da un apposito reader a infrarossi e oggi anche dalla fotocamera di uno smartphone. I barcode standard sono mediamente lunghi dai 4 ai 5 centimetri e contengono 12/16 caratteri.
Un’etichetta barcode non costa quasi nulla ma il processo di lettura per essere garantito deve rispondere a una serie di requisiti: il codice deve essere integro (se stinto, graffiato o spiegazzato il lettore non riesce a leggerlo), deve essere applicato in modo piano e disteso (non deve essere applicata su spigoli o angoli con eccessiva curvatura), la lettura deve avere una condizione di luce accettabile. La modalità di lettura, diretta e frontale, scansiona un singolo codice alla volta. L’insieme di queste caratteristiche porta alla necessità di utilizzare codici di dimensioni ridotte per agevolare i processi di lettura (max 4/5 centimetri in modalità standard per 12/16 caratteri).
I codici bidimensionali (Data Matrix, Maxi Code o Qr Code) contengono un maggior numero di informazioni ma presentano gli stessi problemi di corruttibilità e di lettura non massiva.
Le etichette Rfid hanno un costo completamente differente a seconda della tipologia che si acquista. Occorre infatti sottolineare che l’azienda investe una somma di denaro differente a seconda del tipo di etichetta che viene acquistata, oltre che alla grandezza dell’azienda e al numero di etichette che è necessario acquistare. Pertanto non è possibile stabilire una somma vera e propria che identifica questo tipo di strumento. La somma investita aumenta nel momento in cui si deve effettuare l’aggiornamento delle etichette.
Differenze tag RFiD passivi e attivi
Si parla anche di tag RFID passivi e attivi, ma focalizziamoci su quelli passivi e cerchiamo di capire in cosa questi consistano.
Quelli passivi sono i vari tipi di etichette che vengono posti nelle diverse merci e sono caratterizzati da un chip, che identifica quel tipo di articolo, e da un’antenna.
Il chip e l’antenna si attivano nel momento in cui queste parti entrano a contatto col lettore: classico esempio è quello di una merce che viene passata sulla cassa, la quale emette un suono nel momento in cui la stessa riconosce l’etichetta.
In quel preciso istante avviene l’attivazione del chip presente nell’etichetta che, grazie all’antenna, invia un segnale al lettore, permettendo allo stesso di riconoscerla.
I dati che vengono inviati verranno poi trasmessi al lettore stesso e al programma al quale lo stesso è collegato, permettendo quindi la trasmissione dei dati senza alcun errore. Inoltre questo tipo di etichetta è caratterizzato da un supporto, spesso adesivo, che viene posto su quel tipo di merce, permettendone la lettura in maniera abbastanza semplice e veloce. I tag passivi sono quelli che si possono vedere nelle merci e che permettono, di conseguenza, di poter tenere sotto controllo il magazzino con maggior semplicità.
Perché “sensorizzare” la supply chain con gli Rfid
Nella logistica del fresco e del freddo alcuni operatori integrano ai tag anche l’uso di sensori di temperatura (il costo di un log varia tra i 30 e i 45 euro, mentre una soluzione combinata costituita da accelerometro, sensore di temperatura e di umidità varia tra i 120 e i 150 euro) che, monitorando sui mezzi alimenti, farmaci e altri prodotti suscettibili di deterioramento a causa dagli sbalzi termici, offrono un presidio di sistema più avanzato (ad esempio lo fa Grandi Salumifici Italiani).
La possibilità di leggere in tempo reale il cambiamento della temperatura da un cruscotto centralizzato o tramite alert su un palmare o uno smartphone, infatti, consente agli operatori di intervenire per tempo, risolvendo l’anomalia ed evitando sprechi o danneggiamenti del prodotto che possono risultare pericolosi per la salute. Esistono anche altre tipologie di sensori che fungono da indicatori di servizio, misurando il tasso di umidità o il livello di salubrità di un ambiente, segnalando se ci sono emissioni nocive.
Il vantaggio di inserire dei varchi Rfid (il costo si aggira tra i 4500 e i 6000 euro) nei magazzini che, esattamente come con il Telepass, consente a muletti o camion di effettuare più velocemente il controllo della merce in transito senza dover aprire alcuna confezione porta efficienza ma anche il valore di un’automazione che riduce gli errori e digitalizza la gestione di bolle, ordini e fatture.
Altri esempi di Rfid: la culla della IoT?
La Internet of Things è una piattaforma di scambio che mette in correlazione mondo fisico e mondo digitale attivando un meccanismo convergente di collaborazione tra più referenti: partner, provider, operatori, brand e consumatori. Non a caso il main sponsor della IoT e del Product Lifecycle Management smart è da sempre la logistica e la gestione del magazzino.
I motivi sono prettamente pratici: la volontà di accorciare le distanze tra produzione, magazzino e consumatori, rendendo più efficienti ed efficaci le dinamiche di gestione e di consegna, ma anche di velocizzare uno scambio di informazioni che per essere efficiente impone un alto tasso di integrazione.
La Internet of Things, dunque, è diventata realtà nei magazzini e nei CEDI attraverso una rivoluzione silenziosa che ha moltiplicato l’utilizzo di soluzioni wireless a partire da quei palmari rugged capaci di riconoscere codici a barre mono e bidimensionali o di leggere tag Rfid ed Nfc, connettendo l’operatore ai sistemi gestionali per verificare la conformità del picking rispetto all’ordine. Obiettivo? Monitorare il prodotto in ogni punto della filiera, per garantire la qualità e l’efficienza di ogni tipo di servizio.
Anche le wearable technologies sono arrivate prima nei magazzini, dove si usano da tempo anelli intelligenti per la lettura dei codici, caschi sensorizzati che lasciano lavorare l’operatore a mani libere mentre consulta su un occhiale a visiera la documentazione di servizio, braccialetti o cinture dotate di reader o di sistemi di stampa portatili per la stampa delle etichette o dei codici, camion sensorizzati che durante le consegne consentono al responsabile di visualizzare l’iter del percorso, avvisando di guasti o soste non previste.
Il Product Lifecycle Management, grazie all IoT, diventa la metodologia di approccio ideale per intercettare, organizzare e gestire la molteplicità di informazioni generate dall’intelligenza delle cose. Più che di Big data management, infatti, si torna a parlare di knowledge management con verticalizzazioni più specifiche legate alla digitalizzazione.
Per governare la Internet of Things, infatti, ci vuole una competenza multilivello: competenze tecnologiche, sicurezza e compliance, gestione standardizzata delle informazioni con modelli di Business Intelligence associati a una capacità di rappresentare i dati risolti a livello di architettura ma anche di rappresentazione (interaction design). E, grazie allo smartphone, con tutto un portato di innovazione legata alle app. Insomma: Gartner non si era sbagliata.
Come “Proteggersi” dai tag Rfid
Quando si parla di questi tag occorre anche prendere in considerazione il fatto sicurezza.
Questo per evitare che possa esserci una fuga degli stessi che potrebbero, in qualche modo danneggiare il magazzino oppure il possessore di uno strumento che sfrutta tale tecnologia.
Per quanto riguarda il tag e la protezione, esistono dei particolari strumenti come pellicole resistenti che bloccano l’impulso emanato dal chip se questo non viene sollecitato. Sostanzialmente si tratta di una sorta di scudo che ha lo scopo di evitare che il tag possa operare in maniera autonoma e senza alcun tipo di controllo.
Per quanto riguarda invece il portafoglio clienti, se questi hanno strumenti con questo tipo di tecnologia sarà possibile acquistare dei particolari porta tessere che hanno lo stesso scopo e che evitano che il sistema comunichi coi terminali senza che sia lo stesso proprietario ad azionare la funzione contactless usando la sua carta.
Fonte: https://www.internet4things.it/iot-library/rfid-cosa-e-come-funziona-esempi-applicativi/
Data di pubblicazione: 3 settembre 2018